La parte iniziale della grotta, alla quale si accede facilmente dall'ampio ingresso, è formata da una vasta sala naturale nella quale scorre il torrente. Lo scavo del 1975 individuò la presenza di reperti archeologici all'interno di alcune "vasche" formate, nella sala terminale, dalle concrezioni e dall'azione dell'acqua. Altri reperti furono ritrovati in seguito all'esterno, soprattutto lungo il ruscello dove probabilmente furono in parte dispersi nei periodi di piena, quando il torrente può arrivare a sommergere la grotta.
Alcuni degli oggetti recuperati, tra i quali un piccolo pugnale in rame, indiziano la frequentazione dell'area già nell'Eneolitico. Sono però assai più consistenti i rinvenimenti relativi al V secolo a.C., quando certamente l'antro divenne un luogo di culto intensamente visitato. Di questa epoca è il gruppo di bronzetti votivi antropomorfi, più di trenta esemplari, ritrovati a più riprese sia all'interno che all'esterno della grotta e, in seguito denominati, per la particolare forma, come gruppo o tipo di Castelvenere. Si tratta di piccole figure umane molto schematiche, alte tra i 4 e i 5 cm, caratterizzate da tratti sessuali marcati, sia maschili che femminili, frequenti incisioni lineari e una terminazione inferiore appuntita, probabilmente funzionale ad infiggerli in un supporto o nel terreno. Sono inoltre presenti pochi esemplari con caratteristiche diverse e meno schematiche e un piccolo bronzetto a forma di cane. Alla frequentazione etrusca del V secolo a.C. sono infine attribuibili alcuni frammenti di kylikes attiche a figure rosse.
La particolare fioritura dell'area di culto in quest'epoca è certamente connessa con la contemporanea penetrazione di piccoli abitati etruschi nella media e alta valle del Serchio (Ponte a Moriano), importante asse di collegamento con le aree etrusche a nord dell'Appennino ed è significativo che un bronzetto del tipo Castelvenere sia stato rinvenuto proprio in un abitato etrusco della valle dell'Enza.
Dopo la fase etrusca, che non ha lasciato tracce oltre il V secolo a.C., la grotta torna ad essere intensamente visitata in età romana: le numerose monete ritrovate ne indicano una lunga frequentazione dall'età augustea fino al III secolo d.C. Particolarmente abbondanti sono le ceramiche databili nel I e II secolo d.C., in prevalenza vasellame fine, forse utilizzato per le libagioni o come oggetto votivo (coppe in terra sigillata italica decorata a rilievo e in ceramica a pareti sottili, e altre produzioni). Potrebbe inoltre essere connesso al culto, anche l'uso di lucerne documentato in questo periodo.
La "riscoperta" e la vivacità del luogo di culto riflettono la particolare ripresa degli abitati, nelle aree montane della valle del Serchio, che si registra a partire dall'età augustea; anche la successiva crisi che, già nel II secolo, investe la città e il territorio di Lucca, trova riscontro a Castelvenere dove, dal III secolo d.C., scompaiono le ceramiche fini e la frequentazione è documentata solo dai rinvenimenti monetali.
Un piccolo gruppo di materiali, fra cui frammenti di terra sigillata africana e di calici in vetro, attesta infine l'utilizzo della grotta ancora nel VI secolo d.C., forse per un'ultima ripresa delle pratiche del culto pagano o, più semplicemente, come luogo di rifugio nei difficili anni delle guerre gotiche o dell'invasione longobarda.
Il muraglione eretto poco sotto l'ingresso, sebbene di datazione incerta, pare comunque un'opera di natura difensiva, che chiudeva l'unico via d'accesso all'antro; inglobati nella muratura, realizzata con materiale prelevato nell'area della grotta, sono stati rinvenuti due bronzetti etruschi e alcune monete romane.