Il primo documento che menziona la chiesa di San Salvatore è del 1009, ma probabilmente essa era già esistente nel secolo precedente; l’appellativo in Mustiolo che la accompagna nelle attestazioni più antiche è quasi sicuramente da riferire al termine “monasteriolum” e indica pertanto l’esistenza nelle sue adiacenze di un complesso monastico.
Nel corso del XII secolo – quando venne assegnata dalla Santa Sede al capitolo di San Frediano - la chiesa è stato oggetto di una completa ricostruzione che le ha dato l’icnografia a tre navate spartite da pilastri con presbiterio a terminazione rettilinea ancora oggi riconoscibile nonostante il consistente intervento in stile neomedievale dell’Ottocento. Sono comunque da riferire alla chiesa medievale, oltre alla pianta, le strutture murarie inferiori della facciata e del fianco sud: vi si aprono quattro portali (tre in facciata e uno sul fianco) dalla consueta struttura a archivolto rialzato e a conci bicromi di quest’area. Due di essi – quello sul fianco e quello laterale sinistro di facciata – ospitano due architravi scolpiti con temi iconografici legati al culto di san Nicola e riferibili entrambi alla bottega di Biduino: quello di facciata, forse assegnabile ad un collabratore dello scultore, illustra la Leggenda dello scifo d’oro, con gli episodi del banchetto saraceno dove serve Adeodato, giovane devoto a san Nicola che era stato rapito dall’emiro, e il santo che riporta il giovane dai suoi parenti trasportandolo per i capelli; l’architrave del fianco raffigura il Miracolo del lavacro del santo - quando il santo neonato si alzò in piedi mentre le ancelle lo lavavano – e ospita anche la firma dell’artefice, che ha lasciato l’iscrizione “Biduinus me fecit hoc op[us]” sulla vasca del lavacro.
Come si è detto, nell’intervallo tra le soppressioni napoleoniche e la riapertura al culto sotto i Borbone con affidamento alla confraternità della Misericordia (ancora oggi annessa alla chiesa), l’interno della chiesa è stato ampiamente rimaneggiato: in quell’occasione andò del tutto perduta la decorazione a stucchi seicentesca ed arrivarono in chiesa molte opere mobili provenienti da altri edifici e oggi difficilmente ricontestualizzabili. È il caso di alcuni dipinti seicenteschi (come ad esempio l’Assunzione di Banduccio Trenta) e di un crocifisso ligneo di inizio Trecento proveniente dalla chiesa di San Pietro alla Magione, mentre trasportato in chiesa solo nel 1970 è l’altro crocifisso ligneo – databile quest’ultimo alla fine det medesimo XIV secolo – proveniente dall’oratorio di San Marcello e recentemente restaurato. Presenti in chiesa ab origine sono invece l’Ascensione di Cristo dello Zacchia, del 1561, e la Madonna della misericordia con santi di Alessandro Ardenti, firmata e datata 1565.